L'ombra che allunga le dita
Marco era un uomo dalla stretta di mano gelida e dallo sguardo penetrante. Nel suo ufficio, dominato da tonalità scure e quadri dai soggetti inquietanti, tesseva le sue intricate trame. Era un arrampicatore sociale senza scrupoli, un uomo che vedeva i colleghi non come compagni di lavoro, ma come ostacoli da superare.
Iniziava con piccole cose: un'email incriminante inviata per errore, un rapporto modificato di nascosto, un'idea brillante attribuita a sé stesso. Con il tempo, le sue azioni divennero sempre più audaci. Sabotava progetti cruciali, diffondeva false voci e manomesso i dati. Tutto pur di far apparire se stesso come l'unico competente, l'unico degno di una promozione.
I suoi colleghi, inizialmente scettici, iniziarono a notare un inquietante pattern. Le loro idee più brillanti venivano sistematicamente scartate, i loro successi minimizzati. Si sentivano come se stessero lavorando in una ragnatela, intrappolati in una rete di intrighi e menzogne.
Maria, una giovane e talentuosa designer, fu una delle prime vittime di Marco. La sua ultima creazione, un logo rivoluzionario, venne presentato come un'idea di Marco, che la rivendicò come sua. La delusione di Maria fu profonda, ma decise di non arrendersi. Iniziò a raccogliere prove, a registrare le conversazioni, a documentare ogni mossa sospetta di Marco.
Con il tempo, un gruppo di colleghi si unì a lei, determinati a smascherare l'impostore. Insieme, costruirono un dossier inconfutabile, che presentavano al direttore generale. All'inizio, l'uomo sembrò scettico, ma di fronte alle prove schiaccianti, dovette ammettere l'evidenza.
Marco fu licenziato in tronco, la sua reputazione distrutta. Ma la sua storia non finì lì. Le sue azioni avevano lasciato un segno profondo nei colleghi, una ferita difficile da guarire. Tuttavia, la loro determinazione nel combattere l'ingiustizia aveva rafforzato i loro legami e li aveva resi più uniti che mai.
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